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- Visita alla Mostra di Carlo Ceresa presso il Museo Bernareggi e la Gamec.
Carlo Ceresa
(San Giovanni Bianco, 20 gennaio 1609 – Bergamo, 29 gennaio 1679)
La vita
Carlo Ceresa nacque nel 1609 a San Giovanni Bianco, paese della val Brembana.
Figlio di Ambrogio e di Caterina Carrara, ebbe un'infanzia difficile, vissuta in condizioni di estrema povertà. Il padre, nativo di Cortenova, arrivò dalla vicina Valsassina in cerca di miglior vita, trovando occupazione come calzolaio.
Il piccolo Carlo coltivò fin dall'infanzia una grande passione per la pittura, che non fu però accompagnata da studi specifici. In un periodo in cui fiorivano accademie ed i ragazzi più inclini alle belle arti svolgevano apprendistato in botteghe di rinomati artisti, il Ceresa dovette farsi le ossa in modo autodidatta, proprio a causa della poco felice condizione economica familiare.
Verso i vent'anni cominciò ad eseguire i primi affreschi nelle chiese dei paesi limitrofi, riscuotendo notevole approvazione dai vari committenti. Solo allora cominciò a frequentare la bottega di Daniele Crespi, pittore milanese di undici anni più vecchio, al fine di apprenderne le tecniche della professione ed affinare le proprie abilità.
La morte del suo maestro, avvenuta nel 1630 a causa della peste di manzoniana memoria, lo riportò nella sua valle, dove ricominciò a dipingere nelle chiese e santuari locali.
I suoi soggetti erano principalmente a sfondo religioso, essendo lui stesso pervaso da una grande fede. Le opere emanavano notevole espressività, tanto che cominciò ad eseguire, con ottimi risultati, numerosi ritratti.
In quegli anni si innamorò e si sposò con Caterina Zignoni, appartenente ad una famiglia benestante della zona. Andarono a vivere nella frazione Grabbia, in una casa di proprietà del padre della sposa, a stretto contatto con la famiglia di lei. Questa situazione cambiò radicalmente la vita del Ceresa che, forte della sicurezza emotiva e finanziaria acquisita, si concentrò sempre più nella sua attività che ne risentì positivamente.
Da quell'unione ebbe ben undici figli: di questi, Giuseppe ed Antonio seguirono le orme del padre cimentandosi nella pittura; altri due, Giovanni Battista e Francesco, intrapresero la carriera ecclesiastica, mentre Sebastiano diventò notaio. Francesca morì a 27 anni, mentre gli altri cinque non superarono l'età infantile. Questi lutti colpirono notevolmente l'artista che, in numerosi quadri, amava impersonificare, negli angioletti che dipingeva, proprio i figlioletti perduti. Un'analoga situazione si verificava spesso anche nella rappresentazione della Madonna, spesso dipinta con il volto della propria moglie Caterina.
Uomo semplice, manteneva sempre le scadenze assegnate e la parola data, e non iniziava mai un nuovo lavoro, qualunque esso fosse, senza aver concluso il precedente.
La grande mole di lavoro portò il Ceresa a trasferirsi nella città di Bergamo, precisamente nella parrocchia di S. Alessandro della Croce.
Fu qui che morì all'inizio del 1679, lasciando una cospicua eredità ai figli ed alla moglie, la quale lo raggiunse pochi mesi dopo.
Lo stile
Generalmente si tende a definire il suo stile “alla veneta”, poiché sovente faceva ricorso a colori molto forti, accostati tra loro in modo semplice. Il tutto per rendere l'opera più “vicina” al fedele, il vero utente dei suoi dipinti, che generalmente possedeva una cultura artistica molto approssimativa. E fu questa sua religiosità molto semplice, vissuta anche in prima persona e trasferita nei dipinti, a renderlo poco amato dalle alte istituzioni ecclesiastiche cittadine, da sempre poco inclini a fare eseguire opere così “informali”, che gli commissionarono pochissimo lavoro.
La maggior parte delle sue opere a sfondo sacro si trovano quindi in piccole chiese delle valli bergamasche, dove tuttavia non sempre sono state conservate nel migliore dei modi: spesso i dipinti stessi venivano eseguiti al risparmio, dove i committenti raccomandavano di non spendere troppo per le materie prime quali i colori, le tele e le cornici. A questo si aggiungano le condizioni climatiche all'interno delle strutture sacre non propriamente ottimali, che costringevano i dipinti a subire il caldo durante l'estate ed il gelo in inverno. Questo ha portato gli affreschi ad un rapido deterioramento, con perdita del colore e defogliazione delle pareti su cui erano applicati. Bisogna poi aggiungere che i restauri a tali opere sono stati spesso deleteri, con manomissioni spesso inopportune.
Tra le sue opere, stimate nel numero di 350, spesso venivano erroneamente inserite quelle eseguite dai figli Giuseppe e Antonio. I due figli cercarono di seguire le orme del padre, imitandone lo stile e le peculiarità artistiche. Soltanto in un secondo momento Antonio, considerato il più dotato tra i due, cominciò a perfezionarsi al punto da distinguersi dal padre. Non vi fu però una scuola ceresiana poiché Antonio morì giovanissimo, a soli 20 anni e solo sei mesi dopo il padre, mentre Giuseppe ne seguì la sorte pochi anni dopo.
Non bisogna però dimenticare il lato ritrattista di Carlo Ceresa. Numerose furono infatti le opere commissionategli, specialmente da esponenti della nobiltà locale, che fecero aumentare a dismisura la fama del pittore.
In tal senso è perfetta la testimonianza di Giacomo Carrara, fondatore dell'omonima accademia, che sottolinea la perfezione di un ritratto tanto che questo poteva essere scambiato per la persona nella realtà.
Anche padre Donato Calvi, nella sua opera denominata Effemeridi, cita
« Carlo Ceresa nei ritratti molto lodato... »
Le opere
Come precedentemente detto, la maggior quantità di opere del Ceresa è concentrata in piccole chiese della bergamasca. La prima opera attribuitagli è l'Addolorata posta nella chiesa di Fuipiano, frazione del suo paese natale. Il dipinto, eseguito all'età di diciannove anni, evidenzia già le caratteristiche “provinciali” che lo contraddistingueranno nel tempo.
Di quegli anni, durante il suo periodo milanese in cui affiancò Daniele Crispi, gli sono attribuite opere secondarie nella Certosa di Pavia ed in quella di Garegnano a Milano, dove partecipò ad alcuni cantieri diretti dal suo maestro.
Nel 1630, a seguito dell'epidemia di peste, le commissioni aumentarono grazie alla volontà popolare di ringraziare i santi protettori per l'allontanamento del morbo distruttore. Le prime pale d'altare che il Ceresa eseguì furono per la parrocchiale di San Giovanni Bianco, in cui si distinguono i santi Rocco e Sebastiano, protettori dalle epidemie, con san Bernardino con Sant'Antonio da Padova.
I primi ritratti sono invece datati 1633, anno in cui realizzò il Giovinetto con cappello in mano nel Castello Sforzesco a Milano, ed il Giovinetto Bonometti, ora custodito presso l'accademia Carrara di Bergamo. A questi se ne aggiunsero molti altri negli anni successivi, tra i quali l'autore alternò figure politiche, tra cui Bernardo Gritti, il cui ritratto eseguito nel 1646 è tuttora esposto presso il Rijksmuseum di Amsterdam, il cancelliere Ghirardelli (1640) e il pretore Angelo Finardi; elementi appartenenti a famiglie in vista, tra le quali i Pesenti ed i Suardo; uomini religiosi, come il canonico Alessandro Vertova, il vescovo Gregorio Barbarigo e San Gerolamo Emiliani; e parenti, tra i quali spicca quello a Laura Zignoni Boselli (1640).
I suoi dipinti in ambito sacro successivi al 1640, si differenziano dai precedenti grazie ad una maggiore luminosità, con i colori più vivi: a tal riguardo l'esempio migliore è la Crocifissione con la Maddalena e due Disciplini di Mapello, eseguita nel 1641. In altri è invece possibile notare la vicinanza ad opere eseguite dal Crispi, suo mentore.
Molto particolare è il dipinto di san Vincenzo (eseguito nel 1645) che, posto nel Duomo di Bergamo, posiziona il Santo su una coltre di nuvole, sotto le quali viene raffigurata perfettamente la città orobica.
Molte altre sono le opere che si possono trovare in numerose chiese della bergamasca: tra queste Nese (Alzano Lombardo), Leffe, Nembro, Sombreno (Paladina), Ponteranica, Villa d'Ogna, Terno d'Isola, Madone, e Vercurago. Il grosso della sua produzione artistica è tuttavia concentrato nella sua valle Brembana, con opere dislocate da Mezzoldo a Valnegra, con epicentro nel suo paese con relative frazioni.
Bibliografia
- Carlo Ceresa. Tutte le opere, di Luisa Vertova, Bolis Edizioni, 1984
- La stirpe dei Baschenis: Sguardi sul Quattrocento e sul Seicento , di Silvana Milesi,
Corponove editrice, 1993